Stamattina, Papa Francesco ha inaugurato una Porta Santa nel carcere di Rebibbia, portando un messaggio potentissimo dopo un anno, il 2024, che è stato definito l’anno nero per le carceri italiane.
L’Italia ha raggiunto il numero più alto di suicidi tra i detenuti: ad oggi, 89 persone si sono tolte la vita, individui che avrebbero dovuto essere sotto la custodia dello Stato. Non solo i detenuti, ma anche gli agenti penitenziari si tolgono la vita; il corpo di polizia penitenziaria ha il tasso di suicidi più elevato tra le forze dell’ordine in Italia. Questa situazione inaccettabile non può verificarsi in un Paese civile come il nostro.
Voltaire ci ricordava: “Non fatemi vedere i vostri palazzi, ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione.”
La situazione è aggravata da sovraffollamento, carenza di personale penitenziario e mancanza di assistenza sanitaria, questioni che necessitano di un intervento urgente. Tuttavia, il governo non ha una strategia chiara per affrontare seriamente il problema, limitandosi a interventi spot, come il Decreto Caivano, che ha incrementato la presenza di minori nelle carceri senza un piano rieducativo, e il Decreto Sicurezza, che ha inasprito le condizioni per i detenuti.
Questo approccio punisce piuttosto che rieducare. Secondo i dati del CNEL, il 68,7% di chi esce dal carcere torna a delinquere, mentre la recidiva scende al 2% per coloro che hanno avuto accesso a una formazione professionale in carcere. La direzione da seguire è chiara: bisogna garantire lavoro e formazione ai detenuti.
Di questo tema e della rieducazione in carcere si è discusso il mese scorso durante la riunione del nostro Intergruppo sui diritti fondamentali della persona. Le parole di un detenuto mi hanno colpito in modo particolare: “Fuori è più difficile che dentro.”
Il pregiudizio e il lavoro sottopagato complicano la vita degli ex detenuti, spesso privi delle competenze necessarie a reintegrarsi. Così, il problema inizia all’interno delle carceri e si amplifica all’esterno. L’Italia dovrebbe essere un Paese che offre opportunità di riscatto, consentendo ai detenuti di costruire un futuro già all’interno delle mura carcerarie.
Tuttavia, c’è speranza: molte associazioni, cappellani e direttori di carcere dimostrano più coraggio della politica, attuando iniziative per facilitare lavoro, formazione e sport all’interno delle carceri. Ad esempio, al carcere di Secondigliano è nato il polo universitario carcerario più grande, in collaborazione con l’Università Federico II, e lo scorso anno si sono tenute le prime sedute di laurea.
Importanti sono anche i numerosi esempi di Comunità Educanti per Carcerati, che stanno sorgendo in tutta Italia e che abbiamo proposto come modello da seguire in Senato.
Il problema deve essere affrontato in una dimensione più ampia, poiché il carcere diventa una metafora del nostro Paese, un esempio della nostra visione di lavoro, scuola, sanità, salute mentale, università e istruzione. È necessario un cambio culturale, rapido e deciso, per trasformare le nostre carceri in realtà educative, non punitive; che facciano giustizia, non vendetta.
Che l’apertura di questa Porta sia un segnale di speranza per trasformare le nostre carceri in luoghi di riscatto.
Sen.ce Mariolina Castellone