Undici morti accertati (al momento) e oltre 50 miliardi di dollari di danni. Sono questi i numeri degli incendi che da giorni stanno devastando la California. Incendi che il Presidente Biden ha definito, giustamente, «i più devastanti in oltre due secoli di storia degli Stati Uniti d’America».
Ma quelle fiamme, che hanno distrutto case, scuole, città e colpito indistintamente ricchi e poveri, star di Hollywood e cittadini comuni, rappresentano, oltre alla tragedia e alla morte che hanno portato, l’ennesimo grido d’allarme che il nostro pianeta ci sta lanciando sui danni prodotti dall’uomo.
Pensate qualche giorno fa leggevo in un libro di J. Rifkin che, dal 1860 a oggi, i Paesi industrializzati hanno immesso nell’atmosfera più di 185 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Solo negli ultimi decenni queste emissioni nocive sono cresciute al ritmo di cinque miliardi di tonnellate annue.
Questo gas, insieme ad altri prodotti dalle attività umane, è la causa di un aumento della temperatura senza precedenti nella storia del pianeta, che scatena fenomeni atmosferici estremi, oltre a catastrofi come quella che stanno vivendo i cittadini del sud degli Stati Uniti. Gli stessi fenomeni stanno flagellando milioni di persone costrette a fuggire da regioni ormai ridotte a deserti. Si tratta dei cosiddetti migranti climatici: donne, uomini e bambini che, per sfuggire alla siccità o alle alluvioni, cercano rifugio nel nostro Occidente.
Di fronte a una situazione che peggiora di giorno in giorno, i governi dei Paesi più industrializzati sembrano sordi a qualsiasi appello per rivedere le politiche di sviluppo, da qualunque parte esso provenga.
Inascoltate restano anche le parole di Papa Francesco, che poche settimane fa ha pubblicato l’ennesimo documento invitando i potenti della Terra a considerare il nostro pianeta non come «un oggetto da sfruttare, ma come una realtà da custodire» e da tramandare ai nostri figli, i quali «hanno diritto a ricevere da noi un mondo bello e vivibile».
È quindi oggi, più che mai, necessaria una rivoluzione dei nostri stili di vita, basata sulle famose tre “R”: ridurre, riusare, riciclare. Non possiamo più produrre e consumare come se le risorse del pianeta fossero infinite o come se la Terra fosse in grado di assorbire senza conseguenze gli effetti dello sfruttamento umano.
Dobbiamo imparare a riutilizzare gli oggetti della nostra vita quotidiana e quelli impiegati dall’industria nella produzione di beni. Non possiamo più permetterci di inseguire ogni novità, spesso caratterizzata da minime differenze rispetto a ciò che abbiamo facilmente e velocemente gettato via.
E poi, dobbiamo riciclare. Gli oggetti e i processi produttivi devono essere progettati fin dall’inizio per garantire il massimo riciclo possibile, considerando che anche il riciclo richiede energia e quindi non è un processo a impatto zero per l’ambiente.
Se, come ha affermato il Papa e come sostengono scienziati, intellettuali e studiosi di ogni nazione, ogni credo o orientamento politico, vogliamo ancora pronunciare la parola “futuro”, dobbiamo capire che noi stessi siamo la Terra che stiamo distruggendo. Il momento di cambiare è oggi, non domani.