Il diritto alla tutela della salute è sancito dalla Costituzione. Chi lo ostacola o ne impedisce la piena realizzazione, a maggior ragione per interessi di parte, non fa il bene del Paese. Per queste ragioni auspico la creazione di un ampio fronte Parlamentare trasversale che possa farsi carico di questa sfida in maniera responsabile, coinvolgendo tutti i portatori di interesse, a cominciare dalle associazioni dei cittadini e dei pazienti.
Tra poche settimane saranno trascorsi ormai cinque anni dall’esplosione della pandemia. Una catastrofe che ha comportato un altissimo costo in termini di vite umane, lasciandoci un’eredità di cui ai giorni nostri non sembra che si riesca sempre a farne tesoro.
Il nostro Servizio Sanitario Nazionale ha retto all’urto della pandemia, nonostante non fosse adeguatamente attrezzato per fronteggiare quella terribile emergenza. E questo è stato possibile grazie al sacrificio e alla resilienza del nostro personale sanitario; ma troppe sono state le vite spezzate, anche tra i medici e gli operatori sanitari, per ignorare l’insegnamento della pandemia, che ci ha mostrato in modo evidente come l’anello più fragile del SSN sia certamente la medicina del territorio. In molte aree del Paese non si riesce più a garantire un filtro territoriale efficiente: i nostri Medici di Medicina Generale (MMG) troppo spesso si trovano ad operare da soli nei loro studi privati, senza poter contare sul costante sostegno di un’organizzazione che li supporti, dovendo gestire in proprio le molteplici esigenze di una popolazione che, stando ai dati ISTAT, è tra le più anziane del mondo e tende ad invecchiare sempre di più, col conseguente incremento delle malattie croniche, che richiedono sia cure frequenti ad opera dei medici, che un’assistenza continuativa da parte di professionisti sanitari e caregivers.
I MMG in primis lamentano il sovraccarico di incombenze amministrative cui sono sottoposti, oltre che il carico di lavoro conseguente al progressivo aumento nel numero dei loro assistiti, sempre numerosi e sempre più anziani e fragili, e sempre meno visitati in presenza a causa dei tempi e delle risorse limitati, soprattutto in particolari periodi dell’anno più critici, come la stagione invernale, in cui imperversano i virus respiratori; questo va detto chiaramente a dispetto di quanti si continuano a trincerare dietro il presupposto rapporto fiduciario tra MMG e assistito (oramai quasi del tutto venuto meno nei fatti nelle grandi città) per avversare le riforme, oramai, necessarie.
Come se non bastasse, poi, in numerose realtà territoriali il MMG non trova la collaborazione di una medicina specialistica in molti casi in sofferenza, anche a causa dei tagli scellerati perpetrati nel decennio prepandemico, con liste di attesa lunghissime (talora occorrono mesi per fare una semplice ecografia o una TAC) e, dunque, con la difficoltà di fare una diagnosi in tempi brevi, e prescrivere una terapia adeguata.
L’attuale sistema vede i MMG italiani agire in convenzione con il SSN, uno dei pochi esempi in Europa in cui chi gestisce il territorio non è strutturalmente integrato nel sistema sanitario, e unico caso di professionisti medici che non ricevono una formazione altamente qualificata; infatti, a differenza dei medici specialisti, che in Italia sono formati in scuole di specializzazione universitarie integrate al contributo delle competenze che operano del SSN, i MMG vengono formati attraverso corsi di formazione disomogenei e gestiti localmente dalla Regioni, e spesso subappaltati agli Ordini Professionali, peraltro in assenza di un core curriculum nazionale. Tanto che la retribuzione per un medico generalista in formazione è quella di una borsa di studio e non invece un contratto di formazione paragonabile a quello per i corsi di specializzazione.
Infine, i MMG vengono retribuiti attraverso il sistema della quota capitaria, ossia una retribuzione calcolata sul numero di assistiti, e non invece sul numero o sugli esiti delle prestazioni. Per non parlare della mai risolta questione delle prestazioni aggiuntive, fatturate mensilmente, che in talune occasioni potrebbero incentivare un’eccessiva richiesta di prestazioni, non sempre fondate su reali motivazioni.
In realtà basterebbe guardare il numero di accessi impropri al pronto soccorso, i codici “bianchi” o “verdi”, per rendersi conto che oltre 16 milioni di prestazioni ospedaliere potrebbero essere gestite sul territorio, se esistesse un filtro funzionante. Tuttavia, fino ad oggi, ogni tentativo di riforma è stato ostacolato da resistenze culturali, politiche, sindacali, e lobbistiche, che antepongono gli interessi di parte alla visione di un sistema sanitario che deve, invece, essere al servizio dei cittadini e al passo con i tempi e col bisogno di salute che cambia.
Non sorprende perciò che anche la annunciata proposta di trasformare i MMG in dipendenti del SSN per impiegarli nelle case di comunità, avanzata dalle Regioni e raccolta con interesse dal Ministro Schillaci, stia incontrando le solite resistenze da parte di chi ha interesse a mantenere lo status quo. Ed è sorprendente leggere dichiarazioni in cui ci si dice “pronti alla lotta” contro una riforma che punta invece a migliorare l’assistenza ai cittadini, ad alleggerire il lavoro degli ospedalieri, che oggi continuano a farsi carico delle emergenze generate proprio da un sistema territoriale che non sempre è performante, e valorizzando al contempo gli stessi MMG.
La storia ci ha dimostrato come le precedenti riforme della sanità del territorio siano rimaste in larga parte inapplicate, e talora eluse, sia a causa delle pressioni esercitate sulla politica dalle lobbie professionali, sia in ragione di un sistema di contrattazione vigente nell’ambito del convenzionamento che ha consentito di rallentare i processi o di depotenziare gli interventi del legislatore. Fortunatamente quest’improcrastinabile necessità di cambiamento si sta facendo largo in molte Regioni, che hanno compreso che, senza una riforma di sistema, gli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che ha stanziato ben 15 miliardi di euro per riorganizzare la medicina territoriale, di cui finora ne sono stati spesi solo il 15%, rischiano di essere vanificati. E va detto che, nonostante le profonde divisioni interne e nonostante la resistenza del sindacato maggioritario in ambito di medicina generale, ci sono molti giovani medici, sindacati, e movimenti, come il Movimento MMG per la Dirigenza, che si battono da anni per il passaggio al contratto di dirigenza medica e per un inquadramento che riconosca la specializzazione del medico di medicina generale.
Non è accettabile che si oppongano resistenze al cambiamento per motivi di convenienza o per difendere rendite di posizione. Perché continuare a insistere su un modello che ormai non funziona? Non è forse il momento di evolvere verso un sistema che migliori le condizioni di lavoro dei medici e l’assistenza ai cittadini? Io credo che la proposta di riforma che prevede l’integrazione dei MMG nel SSN non sia soltanto una necessità per il Paese, ma rappresenti anche un’opportunità di crescita professionale e di valorizzazione per gli stessi medici generalisti. E proprio nella direzione auspicata dal Ministro Schillaci e dalle Regioni va la mia proposta di legge AS 811, depositata in questa legislatura e già incardinata in commissione affari sociali del Senato. Questa proposta di legge, laddove approvata, sancirebbe la necessità di qualificare e valorizzare la medicina generale come un settore specialistico, equiparando la formazione dei MMG a quella degli specialisti, aprendo la strada al rapporto di dipendenza dei MMG, che diverrebbero parte integrante di un’organizzazione aziendale che potrebbe supportarli adeguatamente, mettendo a disposizione strutture, strumentazioni, personale amministrativo, oltre che tutte le altre competenze multidisciplinari e multiprofessionali necessarie a garantire un approccio olistico all’assistito. Inoltre, andrebbe a sanare un vulnus normativo che oggi impedisce a medici già specialisti in cure primarie e medicina di comunità di operare nell’ambito della medicina generale, nel quale si formano. Una opportunità, stante la carenza di medici del territorio.
Come ogni cambiamento, affinché si realizzi è necessaria la volontà di accogliere la sfida e di ripensare il proprio modus operandi. E il cambiamento è inevitabile per rispondere adeguatamente ai bisogni di salute dei cittadini e per costruire un sistema sanitario territoriale più efficiente, integrato, sostenibile e, soprattutto, accessibile davvero a tutti i cittadini.
Il diritto alla tutela della salute è sancito dalla Costituzione. Chi lo ostacola o ne impedisce la piena realizzazione, a maggior ragione per interessi di parte, non fa il bene del Paese. Per queste ragioni auspico la creazione di un ampio fronte Parlamentare trasversale che possa farsi carico di questa sfida in maniera responsabile, coinvolgendo tutti i portatori di interesse, a cominciare dalle associazioni dei cittadini e dei pazienti.